Natale è passato, parliamo di estinzioni di massa
O come la prosa di Elizabeth Kolbert rende affascinante il più deprimente (ed essenziale) degli argomenti
Hai ragione, lo so. Stiamo entrambi ancora digerendo il/la panettone/pandoro/pastiera/altro-dessert (sono sempre per l’inclusività dolciaria). Siamo tutti e due mezzi assonnati e con la voglia di avvolgerci in una coperta così forte da rendere fisicamente impossibile qualsiasi attività anche solo vagamente stancante. Ma dobbiamo parlare di estinzioni di massa.
È vero: quando dico “dobbiamo” intendo soprattutto “voglio”. Ma penso sia il modo giusto per concludere il primo anno calendariale di questa newsletter: una discussione su cose che finiscono, che svaniscono. Non perché questi miei sproloqui su libri fantascientifici e saggi se ne andranno da nessuna parte: torneranno venerdì prossimo. Ma perché le cose che finiscono ci permettono di tirare le somme, di fare il punto, di capire cosa stiamo sbagliando e che direzione vogliamo prendere.
La Sesta Estinzione di Elizabeth Kolbert, per esempio, permette a un’intera specie di fare i conti con il fatto che sta portando all’estinzione un numero enorme di altre specie. E come spiego nella recensione del libro su Orgoglionerd.it, lo fa con una prosa giornalistica che commuove descrivendo e infuria spiegando l’impatto che abbiamo sulla vita nel nostro pianeta. E prende dal passato le informazioni per tracciare il nostro futuro: se un meteorite ha cancellato i dinosauri dalla faccia della Terra, per quanti animali l’asteroide siamo noi?
Pensate ai bambini agli insetti!
Il libro di Kolbert ha compiuto 10 anni nel 2024. Nel frattempo, ha vinto un Premio Pulitzer e scosso coscienze, rivelando come l’attività umana stia facendo estinguere un numero enorme di specie di ogni tipo. Ma nella riedizione del decennale (edita in Italia da Neri Pozza), aggiunge alcuni paragrafi su un gruppo di animali di cui si parla poco — e di solito per riempirli di insulti: gli insetti.
Quante volte abbiamo sperato che le zanzare fossero estinte? Quante ore abbiamo perso nella nostra vita cercando di eliminare una mosca intrappolata in casa nostra? Forse abbiamo avuto un po’ di remore in più per le api, ma più perché ci piacciono il miele e i fiori che per gli organizzatissimi insetti.
Eppure dovremmo trattare gli insetti come veri innovatori del regno animale, trendsetter dell’evoluzione. Quando le piante cominciarono a colonizzare le terre emerse (circa 480 milioni di anni fa), gli insetti erano con loro. Sono più antichi, eppure più evoluti nel pieno senso del termine: alcune famiglie (le “vespe di Darwin”) contano più specie di tutti i vertebrati messi insieme.
Sanno sopravvivere anche quando non c’è tempo per adattarsi. Le precedenti cinque estinzioni di massa (la più antica è di 443 milioni di danni fa, la più recente quella dei dinosauri) hanno visto cambiamenti climatici epocali e repentini, eruzioni vulcaniche mastodontiche ed enormi asteroidi impattare con il nostro pianeta e coprire i cieli di nubi e detriti. Gli insetti hanno continuato a prosperare.
Negli ultimi dieci anni, però, stiamo rilevando tassi di estinzione fra gli insetti senza precedenti. Ci sono intere specie nei tropici che abbiamo scoperto solo dopo l’estinzione. Kolbert lo dice in maniera terribilmente intelligente: “per quanto riguarda gli insetti, gli esseri umani potrebbero rivelarsi più pericolosi di un’asteroide”.
Motivarsi deprimendosi
In trecento pagine di prova splendida, Kolbert riesce a mischiare storia e biologia. Ci porta a fianco degli scienziati a cui dobbiamo la nostra conoscenza dell’evoluzione e delle estinzioni di massa, da Cuvier a Darwin fino ai ricercatori moderni. Ci spiega così che, quando ci sono stravolgimenti inaspettati nell’ambiente, l’evoluzione non può essere un motore abbastanza rapido per rispondere: se una nube scura copre tutto il cielo per mesi, nessuna pianta ha il tempo di sviluppare una soluzione alternativa alla clorofilla. Ma soprattutto, ci mostra come per molte specie quel cambiamento imprevedibile siamo proprio noi.
Non stiamo parlando solamente di emissioni di CO2 e di riscaldamento globale — anche se è senza dubbio il nostro peggior lascito al mondo e un problema che dovremmo affrontare con ogni fibra di noi stessi. Ma la verità è che il nostro impatto ha radici ben più antiche della rivoluzione industriale.
Abbiamo fatto estinguere specie viaggiando in nave da una parte all’altra del mondo, portando con noi germi, batteri e specie aliene di animali o vegetali che sono diventati infestanti. E lo facciamo da prima dell’invenzione della scrittura. Abbiamo persino fatto estinguere l’Homo di Neanderthal, e con ogni probabilità non è il solo ominide che abbiamo fatto scomparire (anche se le tracce del suo DNA restano nel nostro).
Kolbert riporta diversi casi: dalle rane dorate in Amazzonia ai vecchi mammut e alle barriere coralline. E riporta anche casi in cui altre specie hanno portato all’estinzione: dai funghi (importati dall’uomo) che uccidono i pipistrelli fino alle piante che, in più di un’occasione, potrebbero aver alterato tanto la composizione chimica di aria, suolo e acqua da causare estinzioni di massa. La grande differenza è che le piante non sono consapevoli di averlo fatto.
La colpa e la speranza
Mi rendo conto che leggere di specie estinte e in via di estinzione con la consapevolezza di esserne (come umanità) responsabili non è un dolce modo di tornare con i piedi per terra dopo le festività. Ma, purtroppo o per fortuna, non siamo nati per vivere come bruti, ma per seguire la virtù e la conoscenza (tutta farina del mio sacco, non cercate la citazione online). Il nostro cervello ci ha fatto colonizzare il globo terracqueo, inventare la macchina a vapore. Ci ha fatto distruggere una quantità enorme di ecosistemi, ma ci permette anche di rendercene conto.
Kolbert chiude il libro parlando di scienziati con il braccio intero dentro un rinoceronte femmina per farla restare incinta; altri intenti a conservare il DNA di specie a rischio in una “arca di Noè” ad azoto liquido. Citando Emily Dickinson intitola l’ultimo capitolo “La speranza è un essere piumato”. Non perché si senta obbligata a fare un finale un po’ meno catastrofico, ma perché non possiamo piangere sul DNA versato: dobbiamo fare il nostro possibile per evitare l’estinzione della prossima specie. Studiare queste catastrofi della biodiversità serve per capire quanto sia urgente cambiare rotta.
Leggere un saggio come La Sesta Estinzione non fa da alibi: per quanto possiamo essere ecologisti (o sentirci tali), non possiamo nascondere l’impatto devastante della nostra specie per la biodiversità. Ma non si tratta di assegnare colpe e deprimerci, per quanto sarebbe interessante pensare a soluzioni da super villain della Marvel per eliminare il “problema umanità” alla radice.
Si tratta di essere consapevoli, e di far sì che quella consapevolezza traspaia nelle scelte di tutti i giorni. Che sia votare per politiche più ecosostenibile o, più semplicemente, smetterla di cercare di uccidere gli insetti che ci volano in casa. Dopotutto, sulla terra sono arrivati prima loro.
Author’s Page
Laureata prima a Yale e poi ad Amburgo, Elizabeth Kolbert ha scritto per il New York Times e ora è la principale firma del New Yorker quando si tratta di ambiente e cambiamenti climatici. Oltre a La Sesta Edizione, ha scritto Alfabeto per un pianeta da salvare e più di recente Sotto un cielo bianco. La natura del futuro, entrambi editi in Italia da Neri Pozza. Dopo aver letto La Sesta Edizione, mi sento in dovere di recuperare almeno quest’ultimo. Non tanto un dover etico, quanto un dovere verso il buon gusto: ho letto pochi saggi intelligenti ma mai pretenziosi come quello con cui Kolbert ha vinto il Pulitzer nel 2015.
TLDR
Se vuoi un condensato di un’ora dei temi trattati da Kolbert (anche se vi perderete la sua squisita prosa giornalistica) potete puntare su un pilastro dei documentari naturalistici: Sir David Attemborough. Nel 2019 ha rilasciato per la BBC Extinction: The Facts (che non è disponibile in Italia, ma sul sito inglese della BBC si può vedere gratuitamente), che esplora come l’Antropocene stia portando all’estinzione di massa di moltissime specie.
Ma penso che abbia ancora più effetto guardare un qualsiasi documentario naturalistico dopo aver letto il libro di Kolbert. Vedere la splendida varietà della natura sapendo quanto la stiamo mettendo a rischio mette le cose ancor più in prospettiva. Se invece preferisci incolpare gli asteroidi, Il Pianeta Preistorico su Apple TV+ ci mostra il mondo prima dell’ultima grande estinzione di massa (che non abbiamo causato noi).
IFTTT
Non sei abbastanza terrorizzato dal nostro impatto sul pianeta? La Terra Inabitalie. Una Storia del futuro di David Wallace-Wells va oltre e traccia uno scenario di come potrebbe diventare il nostro pianeta se non cambiamo rotta. Io non l’ho ancora letto (era l’alternativa a questo libro per questa puntata della newsletter, non me la sono ancora sentita di raddoppiare), ma adoro questa frase dalla recensione dell’Economist: “Alcuni lettori trovano la prospettiva dei possibili futuri del signor Wallace-Wells allarmista. In effetti, è allarmato. Dovresti esserlo anche tu”.
The Song of the Dodo di David Quammen ha qualche anno in più, ma spiega molto bene come l’impatto umano giochi un ruolo negli ecosistemi isolati, parlando di un animale simbolo del concetto stesso di estinzione. Se poi cerchi un classico, puoi sempre leggere per intero L’Origine delle Specie di Darwin.
Readme NXT
Dopo aver parlato di come il nostro impatto sul mondo sia disastroso per concludere quest’anno, mi sembrava giusto puntare su una punta di ottimismo per il prossimo numero della newsletter, il primo dell’anno che verrà. Quindi parlerò del genere Solarpunk, che usa la fantascienza per immaginare futuri magari all’apparenza distopici, ma che hanno un grande sottofondo di ottimismo. Solarpunk: Come ho imparato ad amare il futuro, edito da Future Fiction, raccoglie diverse storie che guardano al progresso scientifico con speranza (che, ricordiamo, ha le ali).
Nel frattempo, spero che il prossimo anno porti ottimismo in generale, sia a me che a te. Ci sentiamo nel 2025. Come sempre, se hai qualcosa da dirmi, libro da consigliarmi o altro, puoi contattarmi sui social (qui il mio Instagram). E magari puoi condividere questo posto con il tasto qui sotto.